Hiroshima Mon Amour (work in progress n.2)
Ricevo da Stephane la seconda tranche delle sue riflessioni sulla creazione di Hiroshima Mon Amour, che Nyneve/Anna Maria ha tradotto in italiano (grazie cara, senza di te non saprei come fare). Nei prossimi giorni posterò anche l'immagine che accompagnerà la fragranza. Bellissima, minimal, eppure di grande impatto. Ma ora, parliamo con Stphane del processo creativo che ci porterà alla fragranza finita.
"Mi trovo in un'empasse, ho realizzato più di 40 accordi che non si armonizzano e che in combinazione si annullano tra di loro. Altri invece diventano "farmaceutici". E’ il rischio che si corre nella profumeria selettiva, che oscilla spesso tra la ricchezza di materie prime ed un minimalismo tra l’alimentare il medicinale. Devo rivedere tutte le mie formule e riconsiderare la mia visione della profumeria artistica. Parlo di visione perché in effetti il mio lavoro risente della mia ambivalenza di pittore e profumiere, la mia sinestesia.
Scivolo nei colori di una fotografia che rappresenta una graziosa Giapponese nel suo bagno termale, affidatami da un’amica fotografa che abita in Giappone, per entrare veramente nel succo e “dipingere” il mio profumo con i colori giusti, per lo meno quelli che immagino io. Devo rimanere fedele alla mia “palette” come se dovesse rappresentare un pentagramma musicale; guardando un’immagine, io la “sento”. Il profumo dev’essere sicuramente fiorito, ma con delle terminazioni legnose, organiche, terrose con accenni di pietra umida e volute di fumo.
Ho comunque una bella sensazione per quanto riguarda lo spettro del mio profumo: una nube verde di fiori, fresca e densa al contempo come un’impressione profumata che esce da una grande bottega di composizioni floreali, una nuvola di tè assortiti, di fiori fragili dai profumi delicati.
Loto, lillà e rose sbocciano nell’acqua. Sono sakura (o fiori di ciliegio), gigli, fiori di pesco, garofano kiku e fiore di pruno, varietà di ninfee bianche, i miei bei fiori acquatici che mi rimandano al celebre quadro di Monet (Le Ninfee, ndr). Per realizzare con tutti quei fiori una base conforme alla mia idea del Giappone ho dovuto scartare molte materie prime troppo pesanti . Finezza e sottigliezza, racconto breve e sognante.
Ma ho lavorato troppo da solo il mio “viaggio” rimane ingenuo. Devo prima entrare in contatto con il Giappone e i suoi costumi, annusare i capelli delle ragazze giapponesi che vivono a Parigi, parlando con loro per strada. Il contatto è vivace e impertinente, ciononostante l’avventura è ogni volta piacevole, i miei “oggetti” lasciano fare facilmente.
Lavorare un accordo sakè e modellare un mandarino come un confettiere… voglio incorporare un mandarino nel cuore. Devo appesantirlo senza zuccherarlo troppo, ho un debole per i profumi leggermente gourmand, è difficile per me lavorare un cocomero per esempio, avrei davvero bisogno di Olivia Giacobetti. Olivia è forse stata ispirata dalle foto di suo padre per realizzare le sue Eau de Iunx? In ogni caso i suoi lavori mi ispirano molto. Ciò che è interessante è lavorare su un territorio difficile, trovare un’altra “mano”, sbocciare, aprirsi a saggi, “periodi” e stili nuovi. Ascolto l’arpa, i suoni del koto e dello shaminzen. Confesso che lavorare su questa creazione durante la primavera mi avrebbe aiutato molto.
Ho eliminato la mia tuberosa e ho arricchito pochissimo l’onda floreale. Mi ritrovo di fronte ad un acquerello carico, pieno di verde, abbastanza acuto, ma sono perplesso dalla resa olfattiva perché c’è come un contraddizione tra una sensazione di morbidezza e una di astio: un acquarello non può avere questa potenza. Sarebbe una specie di ”Eau d’Issey”: stridente, diversa, eppure cugina. Devo dunque continuare ad accordare questa “eau” per affidarle delle nuove componenti più tenere e profonde senza che queste coprano le precedenti. E’ una richiesta impossibile, sono alla ricerca di un profumo fantomatico. In ogni caso ho tentato di creare un ponte interessante, un accordo tra la betulla, l’ambroxan e l’olio di cade, che proverò ad incorporare nel “mio vaso di fiori”.
Sono entusiasta di un lato “legno scuro” con dei lampi di bianco e di beige, avrei voglia di attribuirgli un nota di ciliegia di Cina per arrotondarlo e rendere l’idea della “voglia di vivere”.
Lo scopo è trovare accordi che non si ledano tra di loro e che propongano un’ampia tavolozza, nella quale le note non hanno bisogno di numerosi modificatori. Un quadro realista con una sensazione naturale, non voglio una pittura acrilica, ma l’impressione di un pastello a olio contrastato con delle pennellate ad acquarello, insomma una tecnica mista. La profumeria nella quale mi muovo si inserisce in un nuovo percorso: far cantare un duo, un trio o un quartetto.
La profumeria artistica è “donare”, non è confondere e ingannare il naso. Voglio proporre un profumo commovente e semplice, un profumo nel quale si possa entrare (è quello che è difficile da costruire), voglio lasciare le porte aperte, eppure la composizione non dev’essere aperta ai 4 venti, non deve avere buchi.
La tela dev’essere leggermente cremosa, fluida e generosa, bruna, vegetale, animale e sensuale. E’ così complicato fare una cosa semplice, la sobrietà è un esercizio rischioso come la poesia Giapponese, come i silenzi nella musica.
“Realizzare degli schizzi è come piantare dei semi per far spuntare dei quadri” (Vincent Van Gogh).
Il profumo per me è un esercizio freudiano: tutto è sessuale, tutto è sogno… IO, emozIOne, emozIOni…
Puoi leggere qui le tappe precedenti di quest'avventura creativa.
"Mi trovo in un'empasse, ho realizzato più di 40 accordi che non si armonizzano e che in combinazione si annullano tra di loro. Altri invece diventano "farmaceutici". E’ il rischio che si corre nella profumeria selettiva, che oscilla spesso tra la ricchezza di materie prime ed un minimalismo tra l’alimentare il medicinale. Devo rivedere tutte le mie formule e riconsiderare la mia visione della profumeria artistica. Parlo di visione perché in effetti il mio lavoro risente della mia ambivalenza di pittore e profumiere, la mia sinestesia.
Scivolo nei colori di una fotografia che rappresenta una graziosa Giapponese nel suo bagno termale, affidatami da un’amica fotografa che abita in Giappone, per entrare veramente nel succo e “dipingere” il mio profumo con i colori giusti, per lo meno quelli che immagino io. Devo rimanere fedele alla mia “palette” come se dovesse rappresentare un pentagramma musicale; guardando un’immagine, io la “sento”. Il profumo dev’essere sicuramente fiorito, ma con delle terminazioni legnose, organiche, terrose con accenni di pietra umida e volute di fumo.
Ho comunque una bella sensazione per quanto riguarda lo spettro del mio profumo: una nube verde di fiori, fresca e densa al contempo come un’impressione profumata che esce da una grande bottega di composizioni floreali, una nuvola di tè assortiti, di fiori fragili dai profumi delicati.
Loto, lillà e rose sbocciano nell’acqua. Sono sakura (o fiori di ciliegio), gigli, fiori di pesco, garofano kiku e fiore di pruno, varietà di ninfee bianche, i miei bei fiori acquatici che mi rimandano al celebre quadro di Monet (Le Ninfee, ndr). Per realizzare con tutti quei fiori una base conforme alla mia idea del Giappone ho dovuto scartare molte materie prime troppo pesanti . Finezza e sottigliezza, racconto breve e sognante.
Ma ho lavorato troppo da solo il mio “viaggio” rimane ingenuo. Devo prima entrare in contatto con il Giappone e i suoi costumi, annusare i capelli delle ragazze giapponesi che vivono a Parigi, parlando con loro per strada. Il contatto è vivace e impertinente, ciononostante l’avventura è ogni volta piacevole, i miei “oggetti” lasciano fare facilmente.
Lavorare un accordo sakè e modellare un mandarino come un confettiere… voglio incorporare un mandarino nel cuore. Devo appesantirlo senza zuccherarlo troppo, ho un debole per i profumi leggermente gourmand, è difficile per me lavorare un cocomero per esempio, avrei davvero bisogno di Olivia Giacobetti. Olivia è forse stata ispirata dalle foto di suo padre per realizzare le sue Eau de Iunx? In ogni caso i suoi lavori mi ispirano molto. Ciò che è interessante è lavorare su un territorio difficile, trovare un’altra “mano”, sbocciare, aprirsi a saggi, “periodi” e stili nuovi. Ascolto l’arpa, i suoni del koto e dello shaminzen. Confesso che lavorare su questa creazione durante la primavera mi avrebbe aiutato molto.
Ho eliminato la mia tuberosa e ho arricchito pochissimo l’onda floreale. Mi ritrovo di fronte ad un acquerello carico, pieno di verde, abbastanza acuto, ma sono perplesso dalla resa olfattiva perché c’è come un contraddizione tra una sensazione di morbidezza e una di astio: un acquarello non può avere questa potenza. Sarebbe una specie di ”Eau d’Issey”: stridente, diversa, eppure cugina. Devo dunque continuare ad accordare questa “eau” per affidarle delle nuove componenti più tenere e profonde senza che queste coprano le precedenti. E’ una richiesta impossibile, sono alla ricerca di un profumo fantomatico. In ogni caso ho tentato di creare un ponte interessante, un accordo tra la betulla, l’ambroxan e l’olio di cade, che proverò ad incorporare nel “mio vaso di fiori”.
Sono entusiasta di un lato “legno scuro” con dei lampi di bianco e di beige, avrei voglia di attribuirgli un nota di ciliegia di Cina per arrotondarlo e rendere l’idea della “voglia di vivere”.
Lo scopo è trovare accordi che non si ledano tra di loro e che propongano un’ampia tavolozza, nella quale le note non hanno bisogno di numerosi modificatori. Un quadro realista con una sensazione naturale, non voglio una pittura acrilica, ma l’impressione di un pastello a olio contrastato con delle pennellate ad acquarello, insomma una tecnica mista. La profumeria nella quale mi muovo si inserisce in un nuovo percorso: far cantare un duo, un trio o un quartetto.
La profumeria artistica è “donare”, non è confondere e ingannare il naso. Voglio proporre un profumo commovente e semplice, un profumo nel quale si possa entrare (è quello che è difficile da costruire), voglio lasciare le porte aperte, eppure la composizione non dev’essere aperta ai 4 venti, non deve avere buchi.
La tela dev’essere leggermente cremosa, fluida e generosa, bruna, vegetale, animale e sensuale. E’ così complicato fare una cosa semplice, la sobrietà è un esercizio rischioso come la poesia Giapponese, come i silenzi nella musica.
“Realizzare degli schizzi è come piantare dei semi per far spuntare dei quadri” (Vincent Van Gogh).
Il profumo per me è un esercizio freudiano: tutto è sessuale, tutto è sogno… IO, emozIOne, emozIOni…
Puoi leggere qui le tappe precedenti di quest'avventura creativa.
Commenti
ma appena quello che scrive commuove, figuriamoci il profumo.
Traspare la pace e la limpidezza che questa persona ha dentro, io poi gli ho visto gli occhi e li ho guardati bene mentre mi parlava!!
Una prima parte estremamente dura e umana, dove esce tutta la fragilità, la pazzia, il nervoso, tipico di un artista.
Una seconda parte estrosa, gioiosa, magica, altre caratteristiche di un artista.
Sono sempre più gasato da questo progetto.
Ciao Prisca! certo che Hiroshima Mon Amour potrebbe essere anche un semplice esercizio intellettuale e basta, può darsi che quel che hai avvertito sia corretto. Io mi ero fatta un'altra idea, ho pensato che il "problema", in quanto pittore e fotografo, è che Stephane è più un "visivo". E' trasportare una visione nel mondo olfattivo, la difficoltà grossa: altri compositori hanno in mente esattamente l'odore che vogliono creare, mentre lui ha in mente un'atmosfera, che sarebbe capacissimo di riprodurre con immagini ma... quello lo saprebbe fare e non sarebbe poi una gran sfida. Se non ho capito male ha bisogno di rafforzare in ogni modo il tema ispiratore per vedere se da qualche parte il "quid" olfattivo di cui è alla ricerca viene fuori. Ma come al solito staremo a vedere, anzi ad annusare... ;-)